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sabato 11 giugno 2016

Tanto amore, tanta volontà, tante teste dure. E Lisca Bianca ritorna a vivere



Lisca Bianca durante il suo giro del mondo
Ormai manca poco: Lisca Bianca, dopo aver solcato i mari di tutto il mondo e toccato tante, ma tante “isole lontane”, torna in mare. E’ rimasta abbandonata per anni, poi è tornata a vivere grazie ad un gruppo di giovani e meno giovani che ci hanno messo l’anima. Ma che da quella barca hanno anche appreso che la libertà non è solo un sogno, ma che può diventare u n progetto.


La storia. la decisione di costruire Lisca Bianca cominciò a maturare in Sergio Albeggiani e sua moglie Licia nel 1975. Come scritto nel libro Le isole lontane, all'epoca la famiglia disponeva di un piccolo gozzo siciliano, una "sardara" di Porticello, coloratissima e molto marina. Con questa barca, armata di randa aurica e fiocco, i due si spinsero fino a Tenerife ma, nonostante il desiderio di proseguire, decisero di tornare in Sicilia consci che Lisca Bianca in quel momento non era adatta ad una navigazione oceanica. Arrivati in Sicilia, più riprendeva la vita "normale" più cresceva il desiderio di riprendere il mare, questa volta su una barca oceanica "da abitare".
Sergio Albeggiani
Tra i progetti presi in considerazione, il Tahiti Ketch attirò molto l'attenzione di Sergio Albeggiani per le sue linee dolci e marine, ampia invelatura e apparente ottima solidità. A convincere definitivamente Sergio Albeggiani fu il significativo episodio dell'Atom del navigatore solitario Jean Gau, alle prese con l'uragano Carrie che aveva appena messo in pericolo di affondamento Pamir, grande nave a vela di acciaio. Atom, invece, un Tahiti Ketch di nove metri governato da un solo uomo ed in rotta da Gibilterra a New York, se ne stava al sicuro alla cappa circa trecentosessanta miglia a Sud di Montauk Point.
Sergio Albeggiani decise che avrebbe costruito un Carol Ketch, versione più grande (36") del Tahiti il cui progetto dell'americano John Hanna del 1924 era derivato dai battelli-pilota norvegesi a vela e destinato ad essere impiegato in Pacifico. Sergio Albeggiani riuscì a reperire i piani di costruzione da Giorgio Sternini, possessore di un Tahiti Ketch che aveva acquistato i piani del Carol direttamente dalla vedova di Hanna con l'intento di costruirne uno, idea poi abbandonata a causa dell'età già avanzata.

Nel 1978, inizialmente Sergio Albeggiani tentò di autocostruire totalmente Lisca Bianca, con tentativi definiti da lui stesso "velleitari". Il primo passo fu studiare attentamente e ridisegnare tutti i piani in sistema metrico decimale. Successivamente, il progetto fu affidato al cantiere della famiglia Treviso a Porticello e il 14 novembre 1978 ebbe ufficialmente inizio la costruzione, finanziata anche dalla buona vendita della prima Lisca Bianca. La costruzione durò 3 anni e il varo ebbe luogo il 14 novembre 1981.
 Il primo giro del mondo è cominciato il 23 settembre 1984 da Porticello e si è concluso nell'estate del 1987.Il secondo giro del mondo è cominciato nel 1989 ma non si è mai concluso a causa della morte di Sergio Albeggiani. (da wikipedia)



La scheda.
Lisca Bianca é un Carol ketch di 36 piedi, versione più lunga del Tahiti Ketch, noto per le caratteristiche marine e la sicurezza. I coniugi Albeggiani scelsero questo modello dopo aver letto che, a seguito di una bufera durante una regata, la suddetta imbarcazione era stata l’unica a non riportare alcun danno. La chiglia lunga e l’armo a ketch garantiscono, infatti, eccellenti stabilità di rotta e governabilità. L’imbarcazione presenta un pozzetto centrale con annessa pilot-house e a poppa una piccola cabina. Scendendo si incontrano un comodo ed ampio quadrato e una cabina di prua con bagno.



E questo è un articolo che Nadia Lodato, una delle volontarie che hanno riportato in vita il mitico “Lisca Bianca”, ha scritto per Repubblica che l’ha pubblicato il 27 marzo di quest’anno.


di Nadia Lodato

«Non vedevo il mare da tre anni». Seduto al bar a bere un caffè con il team di LiscaBianca, di ritorno dalla prima uscita in barca, S. ha un’espressione grata e stupita. Parla sommessamente, con pudore, quasi come se non meritasse tanta bellezza. S., che non vedeva il mare da tre anni perché in carcere, è stato uno dei primi ragazzi a prendersi cura di LiscaBianca, tra il laboratorio di restauro e le uscite a vela in collaborazione con la Lega Navale. Era il marzo del 2014 e oggi S., finita la detenzione, comincerà a lavorare in cantiere con gli altri operai che stanno ultimando il restauro: un maliano, un gambiano, due palermitani.
Come era ridotta Lisca Bianca prima del restauro
«Come avviene di solito nei progetti sociali, i beneficiari sono innanzitutto le risorse da cui tutti noi impariamo qualcosa. A fronte della riduzione delle risorse pubbliche che ci impone la regolazione informale per il soddisfacimento dei bisogni, l’apprendimento reciproco è non solo una condizione necessaria, ma l’unica strategia vincente», spiega Nadia Lodato, che dal 2001 si occupa di cooperazione internazionale tra Albania, Sud Sudan e Kenya e in Sicilia gestisce progetti di inclusione socio-lavorativa, empowerment individuale e di comunità. Per LiscaBianca coordina l’area sociale, a contatto diretto con gli utenti. Utenti come S., che ha scontato la sua pena all’Istituto Penale Minorile ex-Malaspina di Palermo; come gli ospiti della comunità di Trabia, che provengono da una storia di tossicodipendenza; come i giovani rifugiati del circuito SPRAR; come i lavoratori infortunati segnalati da INAIL. Persone che arrivano dalle aree di cui si occupano l’Istituto Don Calabria e l’Associazione Apriti Cuore Onlus, i primi promotori del Progetto.
Al lavoro per ridare la vita a Lisca Bianca

La prima regola, dunque, è quella della contaminazione. Non a caso, l’approccio da subito ha attinto a piene mani da diversi ambiti: tutela dei diritti, sistemi di governance, partnership pubblico-privati, management dei servizi sociali. Il fatto che gli utenti stessi non arrivino da un’unica area non è una casualità: significa che persone diverse per età, provenienza geografica e storia personale lavorano fianco a fianco per un obiettivo comune. Interfacciandosi con uno staff che, a sua volta, è un mosaico. Oltre agli operatori del sociale focalizzati sul percorso di inclusione, c’è il progettista che monitora gli aspetti tecnici, c’è il responsabile del cantiere che li aiuta a prendere confidenza con legno, resine e macchinari, c’è lo staff della comunicazione che trasforma la loro esperienza in parole e immagini. La natura del Progetto induce i ragazzi ad allargare ancor più lo sguardo. Molti di loro sono impegnati – o lo erano in passato – anche in altre attività lavorative, ma il restauro di LiscaBianca è la prima che li porta a confrontarsi con un committente esterno, con il carico di responsabilità che ciò comporta. Bisogna coordinarsi con altri sistemi, far fronte a tempistiche e modalità di realizzazione complesse, fare i conti con qualcuno che valuterà in modo oggettivo i risultati del loro lavoro. Un bel passo in avanti verso le logiche del mondo esterno.
Con un approccio così, non esistono strade già scritte né soluzioni scontate. Si parte dal basso, dall’analisi dell’esistente e dalla comprensione dei bisogni sociali, per cercare soluzioni innovative, con un occhio vigile alle best practices regionali e nazionali. «Apprendimento informale, acquisizione di competenze tecniche, scambio etnico e intergenerazionale, analisi del fabbisogno territoriale fanno di LiscaBianca non solo un progetto di inclusione socio-lavorativa per soggetti in condizione di marginalità sociale, ma un metodo che vuole dare risposte concrete ai bisogni nell’ottica di un efficace sviluppo del territorio attraverso percorsi di responsabilizzazione, collaborazione e azione collettiva», spiega Nadia Lodato. La finalità, prosegue, è quella di progettare servizi con modalità nuove, che danno concretezza ai principi della partecipazione e della co-progettazione tra decisori pubblici (Istituzioni in primis) e attori locali (organizzazioni, imprese, volontariato, cittadinanza attiva). E il restauro è un mezzo, non un fine. Quando LiscaBianca tornerà in mare, la sua seconda vita sarà legata a doppio filo all’inclusione sociale e alla sostenibilità ambientale: crociere didattiche, velaterapia, vela solidale, turismo sostenibile.
«Lavorare su LiscaBianca è un'esperienza per me unica per tanti motivi. Sia perché non ho mai lavorato su una barca, e sapere che ha fatto il giro del mondo mi dà ancora più stimoli, sia perché so già che avrò tanta soddisfazione nel vedere che la useranno persone in difficoltà – racconta S. –. Spero che al più presto potremo finirla e metterla in acqua e trovare qualcuno coraggioso come la famiglia Albeggiani che voglia riprovare a fare il giro del mondo». Le parole di B., che viene dal Gambia, sono stringate ma non meno sincere: «Mi sento di ringraziare tutti e Dio perché mi avete proposto questo lavoro e sono felice. Ho avuto molte esperienze di lavoro ma non ho mai lavorato così bene. È una bellissima esperienza».

«Liscabianca non è soltanto un progetto sociale, ma un’impresa collettiva di recupero e di riscatto, è un moltiplicatore di incontri, di energie, di competenze e di passione: una barca, una storia che ha fatto il giro del mondo, un equipaggio che non si ferma di fronte alle difficoltà, che non si “piange addosso”, perché ha sempre uno sguardo oltre l’orizzonte», commenta Elio Lo Cascio, sociologo, mediatore penale e presidente dell’Associazione. «È un progetto “di relazione” e di prossimità: umana, affettiva, professionale, di sistema. Ho imparato dai miei ragazzi e dai miei colleghi in questi tre anni più di quanto non mi sia successo in tutta la mia carriera. Il valore delle relazioni ci ha dato la spinta a provare a essere sistema, volano di cambiamento per un territorio, intessendo sinergie, fatiche, paure, fragilità, competenze eccellenti, disordine, cura, voglia di riscatto – conclude Nadia Lodato –. Grazie ai miei compagni di viaggio non potevamo che essere questo. E non smetterò mai di provare un profondo senso di gratitudine per quello che insieme siamo riusciti a fare».



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