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domenica 17 luglio 2016

Horus nel paradiso del Cilento

Agropoli
Il viaggio di Horus, seppur ridimensionato rispetto alle previsioni (e alle mie speranze) continua. Il 7 luglio ho lasciato, a malincuore, Agropoli per doppiare Punta Licosa e andarmi a rifugiare in nquel paradiso che è il Cilento.
Il giorno prima, ho voluto rinforrzare il mio ricordo di questo paesino meraviglioso con una splendida pizza mangiata al tramonto su una delle terrazze che danno sul porto. Io, come tutti, dispongo di cinque sensi (a volte anche di sei, anche se il sesto non sempre funziona bene. Anzi, ultimamente perde sempre più colpi) e sono abituato ad usarli tutti, Specialmente il gusto: a me capita dui ricordarmi di un posto, di una situazione se penso a quello che ho mangiato in quel posto o in quella occasione. E questa pizza, servita come da tradizione in un puatto di vimini,  mi aiuterà a ricordarmi di Agropoli. Come sarò aiutato anche dall'antipasto a base di alici. Qui c'è una tradizione fortissima: le alici vengono cucinate e servite in diversi modi: "mbuttunate", "arreganate", "marinate" o "salate". Insomma, non credo avrò problemi di memoria.

Capo Palinuro
Obiettivo della mia tappa avrebbe dovuto essere il porto di Casalvelino. Lì Paolo, un mio nuovo (ma grande) amico di Pozzuoli, mi ha detto che avrei avuto la possibilità di starmene a sbafo, ormeggiato all'inglese al molo di sopraflutto, per un paio di giorni. Chiamo una delle funzionarie del porto per avere conferma e le indicazioni per registrarmi, ma arriva la cattiva notizia: "Lei a che ora pensa di arrivare?" "Non so, verso le 15". "Allora abbiamo un problema: c'è un pontone che sta lavorando nel porto e oggi è l'ultimo giorno. Per cui quel molo è inagibile almeno fino a sera".
Eccoci qua, senza un porto di destinazione e, per di più, con la carta bancomat inutilizzabile causa chip passato a miglior vita. Lascio il governo di Horus al pilota automatico (in effetti, per il 90 per cento del tempo, è lui che fa tutto), regolo meglio le vele rispetto ad un venticello a dieci nodi che arriva al traverso, e comincio a studiare la carta nautica. la barca fila, si fa per dire, a poco più di quattro nodi, e con un certo disappunto vado a caccia non di un porto, ma di una baia o comunque di un ridosso. Decido di allungare la rotta e di proseguire fino a Palinuro.
Mentre faccio e rifaccio i conti della nuova rotta, il vento rinforza, ma è sempre così quando si è al traverso di un Capo. E punta Licosa non fa eccezione. Dovete sapere che è bene passare molto larghi rispetto a questo capo. Un ottimo motivo è perché è costellato di secche e scogli affioranti. Secondo, perché da lontano si apprezza meglio il panorama. E si riesce a scorgere anche un'isolotto, o meglio, l'Isola delle Sirene. Per chi crede in queste cose, fu qui che Ulisse, attratto dal canto delle sirene, si fece legare al timone per evitare di morire. Una bella morte, immagino, ma sempre morte sarebbe stata.
Intanto alla mia sinistra sfila un vero e proprio spettacolo della natura: Punta dell'Ogliastro, Acciaroli, Marina dei Pioppi, Casalvelino (maledizione), Marina di Ascea. Doppio la Torre del Telegrafo, intravedo il porticciolo di Marina di Pisciotta e davanti alla prua si comincia a vedere il Capo Palinuro. E' lì, alla fonda davanti al porto, che passerò la notte.
La boa gialla che segnala la socche sommersa a Palinuro
Palinuro prende il nome da uno dei nocchieri di Enea. Si narra che durante una navigazione verso il Lazio, Palinuro cadde in mare insieme al timone. Si aggrappò al relitto e per tre giorni ingaggiò un'estenuante lotta contro le onde infuriate. Ma quando stava finalmente per mettersi in salvo sulla riva, fu barbaramente ucciso dagli abitanti di quei luoghi: da allora quel promontorio prese il nome di Capo Palinuro.

Prima di entrare, come faccio sempre, mi metto in contatto via radio con la Guardia Costiera. Loro mi autorizzano a dar fondo all'ancora e mi raccomandano due cose: non scendere a terra e lasciare la barca incustodita e stare attento ad una scogliera sommersa segnalata da una boa gialla. Resto lì la notte e anche il giorno successivo. Il luogo è fantastico: il paesino poco distante dal porto (che non è un vero e proprio porto: ha solo un molo di protezione, al resto ci pensa la natura), una pineta che sovrasta la spiaggetta, colori da sogno. La seconda notte dormo, ma si balla un poco: arriva vento e, soprattutto, risacca. calo altri cinque metri di catena e vado a nanna. L'indomani sarei andato dall'altro lato del Capo, alla baia del Buon Dormire. Poche miglia fatte col solo genoa e poi all'ancora in questa rada che pian piano si è andata affollando. Ma è talmente grande che il numero delle barche non ha dato alcun fastidio. Un'altra giornata qui, un paio di bagnetti, e poi a nanna. L'indomani, di buon mattino, dopo un altro bagnetto e ricca colazione a base di caffè e biscotti annegati nella Nutella, via verso la Baia degli Infreschi.
Horus nella baia del Buon Dormire
 Poco meno di dieci miglia percorse con molta calma prima di immergermi in un'altra perla del Cilento. Lungo la rotta, Marina di Camerota. In meno di tre ore entro in questa baia piccolissima, disseminata di boe (è proibito buttare l'ancora). Siccome sono solo, prendo una cima, l'assicuro ad una bitta di prua e la porto fino al pozzetto. Mi avvicino alla boa con la poppa e riesco al primo tentativo ad far passare un capo della cima dentro l'anello della boa e riporto la cima a prua, le lascio un "gioco" di tre, quattro metri, do volta, spengo il motore, e mi ritrovo in Paradiso. ma per poco. Arriva una barca a motore, mi affianca e l'equipaggio (papà, mamma e figlia) mi saluta. Rispondo con un sorriso e anche loro si attaccano alla "mia" boa. Secondo l'ordinanza della Capitaneria, a queste boe sui possono attaccare al massimo quattro imbarcazioni. Poco prima di mezzogiorno, ad ogni boa erano attaccate non meno di otto barche.
Horus alla boa nella baia degli Infreschi
Ma ci si abitua a tutto, Anche chi come me naviga da solo non può perdere la pazienza se per un giorno si trova in mezzo al ttraffico. Specie se questo traffico dò dei vantaggi: dalla barca alla mia destra è arrivato un meraviglioso piatto di spaghetti alle vongole, da wquella alla mia sinistra un trancio di pizza. Poi, prima del tramonto, in tutta la baia eravamo non più di quattro barche. Poi ne è arrivata un'altra, un 32 piedi. "Giovanniiiiiiiii". Era Gennaro. Lo aspettavo e lui è arrivato, si è attaccato ad un'altra boa ed è venuto a trovarmi a bordo del suo tender. "Ecco, questo l'ha fatto mia madre". E mi consegna un vasetto con del tonno sott'olio. L'ho mangiato nei giorni seguenti: mi ricorderò di Gennaro, degli Infreschi e, ovviamente, della mamma di Gennaro che non ho conosciuto ma so che cucina bene.
L'indomani, dopo una notte magica agli Infereschi, ho fatto tappa a Cetraro, non nel porto, ma all'ancora. E da lì a Vibo Valentia. Ma questa è un'altra storia che scriverò, forse, domani.






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